Replica a Luciano Costa (di Paolo Corsini)

Il Senatore Paolo Corsini replica al giornalista Luciano Costa in merito ad una interpretazione della...

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Il Senatore Paolo Corsini replica al giornalista Luciano Costa in merito ad una interpretazione della cultura costituzionale del compianto Mino Martinazzoli

Il Senatore Paolo Corsini replica al giornalista Luciano Costa in merito ad una interpretazione della cultura costituzionale del compianto Mino Martinazzoli. A tal proposito informiamo i nostri lettori che sono stati pubblicati, a cura di Paolo Corsini e Pierluigi Castagnetti, il volume che raccoglie tutti gli interventi parlamentari (oltre 800 pagine) di Mino Martinazzoli e  una rassegna bibliografica (a cura di P. Corsini) che offre un quadro degli scritti e degli interventi di Mino e di quanto è stato scritto su di lui. Volume dei discorsi parlamentari e rassegna bibliografica possono essere richiesti scrivendo o contattando l’Archivio della Camera dei Deputati.

Di seguito, la replica del senatore Paolo Corsini al giornalista Luciano Costa che lo chiama in causa sul no al referendum costituzionale.

”Sono debitore di una replica a Luciano Costa che mi chiama in causa con un suo intervento (Riforme: il “no” di Corsini ed il “sì” di Martinazzoli) a proposito del prossimo referendum costituzionale. Ma, ancor più, l’occasione mi è propizia per chiarire la mia posizione quanto al merito del quesito che sarà sottoposto ai cittadini italiani.

Due, in sostanza, gli argomenti cui Costa fa ricorso: il primo, abbastanza curioso e stravagante, e cioè il fatto che “solerti vacanzieri” gli hanno spiegato che “Paolo Corsini […] fonda le sue ragioni […] appellandosi nientemeno che al compianto Mino Martinazzoli”; il secondo invece evoca direttamente il fondatore del Ppi, facendosi mentore della circostanza che “Mino non avrebbe posto remore alla riforma costituzionale” in nome di uno Stato che “non ha bisogno di due camere contrapposte, autonome e anche costose, ma di un sistema vivo, rappresentativo e autorevole”, in grado di dare espressione a quel “Paese reale che poi è quello che non capisce i costi della politica”. Queste, in sintesi, a detta di Luciano Costa e, persino virgolettate, le convinzioni di Mino Martinazzoli.

Procediamo, dunque, con ordine. Sono stato primo firmatario di un documento sottoscritto, per ora, da sette senatori e tre deputati del Pd, i quali motivano pubblicamente le ragioni del loro no alla riforma. Appunto le motivano con giudizi di cui si assumono in prima persona la responsabilità, senza chiamare in causa altri a proprio sostegno. Senza scomodare padri costituenti, insigni costituzionalisti, autorevoli esponenti politici – e Martinazzoli certamente tra questi – che, ormai deceduti, potrebbero avvalorare la scelta del no. Contrariamente a chi si appella a Berlinguer e Ingrao, a Dossetti o Elia, figli di una stagione del tutto diversa da quella attuale, palesamente decontestualizzati e addirittura stravolti nel loro pensiero a fini strumentali, i parlamentari del Pd così espongono le loro motivazioni. Anzitutto il deficit di autorevolezza morale di questo Parlamento viziato ab origine dal Porcellum; in secondo luogo il metodo, tutto in capo al Governo su materia genuinamente parlamentare, un Governo che ha concorso in modo determinante al varo di una riforma attuata mediante una maggioranza ristretta e ondivaga. Ancora: una riforma che non persegue gli stessi obbiettivi dichiarati di semplificazione e di efficienza del sistema istituzionale, senza contare che, anziché promuovere un reale superamento, per altro ampiamente condiviso, del vigente bicameralismo simmetrico e paritario, essa disegna un procedimento legislativo confuso e farraginoso. Basti leggere l’illeggibile articolo 70. Si viene altresì configurando un Senato nel quale si dà una palese contraddizione tra la nuova composizione (consiglieri regionali, sindaci, membri di nomina presidenziale) e le sue competenze, tanto in materia elettorale che costituzionale, oltre che sotto il profilo della politica europea e internazionale di sempre maggiore impegno. Infine: un esorbitante ricentralizzazione del rapporto tra Stato e regioni a scapito di un federalismo retto su di un autonomismo regionalistico ben calibrato e funzionale. Sullo sfondo i nodi del tutto ancora irrisolti della elettività dei nuovi senatori e il sovraccarico politico di cui si è voluto rivestire il referendum – sino al punto da configurare una sorta di plebiscito, un giudizio di Dio su Matteo Renzi ed il suo Governo – con evidenti implicazioni di snaturamento del profilo identitario del Pd e sui complessivi assetti del sistema politico.

E veniamo a Martinazzoli, una personalità che a lungo ho frequentato e a lungo studiato. Ho infatti dedicato un anno di lavoro a leggermi tutti – ripeto proprio tutti – i suoi interventi pronunciati in 22 anni di attività parlamentare, interventi di imminente pubblicazione, a cura mia e di Pierluigi Castagnetti, che assommano a circa 800 pagine stampate. Ho altresì dedicato un libro alle sue penetranti riflessioni su “valore e limite della politica”. Naturalmente, dunque, la mia personale macerazione – sì proprio macerazione – sulla riforma costituzionale si è alimentata anche del suo pensiero e del suo magistero. Capisco che leggersi un malloppo tanto oneroso sia una fatica improba. Più semplice e agevole dare almeno un’occhiata ai suoi interventi in Consiglio regionale che, su lodevole iniziativa di Gianni Girelli, hanno visto la luce. Qui basterebbe una rapida scorsa per cogliere l’insistenza di Mino sulla “repubblica parlamentare”, sul sistema elettorale proporzionale, sulla critica anti bipolare, sul rapporto tra Governo e costituzione, tra potere esecutivo e legislativo – la Giunta regionale, alias il Governo centrale, che assurge a catering  del Consiglio, alias le assemblee parlamentari – sulla durata storica delle costituzioni da sottrarre alle convenienze politiche immediate. A me per altro risulta del tutto inverosimile la citazione di un Martinazzoli soprattutto preoccupato dei costi della politica quanto all’esercizio delle funzioni di rappresentanza. Un problema cui va certamente posta mano, ma non dirimente in relazione al ben più rilevante spessore e alla portata della questione costituzionale. Al di là del fatto che i tanto reclamizzati risparmi sono esattamente un decimo di quelli propagandati, come dimostrano studi e fonti di provata affidabilità. Mi concederò dunque anch’io una citazione di Martinazzoli, certamente autentica, un refrain per lui insuperabile, una sorta di prologo tombale per la riforma che verrà sottoposta al vaglio popolare: “Nessun potere costituito può autoproclamarsi potere costituente”. Ma tant’è, lasciamo pure che Mino possa riposare in pace”.

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