Schiaffo europeo dei liberali a Grillo

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Abbiamo titolato il giornale di ieri sulla “giravolta” di Beppe Grillo ed è proprio ciò che è avvenuto nelle ore seguenti. I militanti del Movimento 5 Stelle hanno votato per dire addio agli euroscettici di Nigel Farage al Parlamento europeo e passare ai liberali dell’Alde ma questi ultimi hanno sbattuto la porta in faccia ai grillini. “Non ci sono abbastanza garanzie per proseguire un percorso comune per riformare l’Europa”, ha dichiarato il leader Guy Verhofstadt.

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L’ordine è “accusare l’establishment”, qualche parlamentare evoca «i poteri forti»

Lo staff della Casaleggio, l’azienda proprietaria dei dati degli iscritti e della piattaforma web su cui si decidono vita morte e miracoli del Movimento Cinque Stelle, intorno alle 6 di ieri sera ha estratto dal cilindro che la bocciatura da parte dei liberali andava raccontata così: «L’establishment ha deciso di fermare l’ingresso del MoVimento 5 Stelle nel terzo gruppo più grande del Parlamento europeo». Establishment nel quale però fino a poche ore prima volevano entrare. Tra i comunicatori M5S si sono sentite frasi come «abbiamo fatto tremare il sistema come mai prima», poi di lì a poco apparse sul blog di Beppe Grillo. Qualcuno dei parlamentari ha evocato «i poteri forti». Uno anche il fatto che «Verhofstadt era uomo legato al Bilderberg», circostanza complottista che naturalmente non vuol dire assolutamente nulla, e sulla quale per una volta si è deciso di soprassedere. Comunque, la debacle messa così può persino fare gioco ai cinque stelle, se in Italia passasse in questa versione del «noi contro l’establishment». E chissà, magari nelle pagine fan club Facebook pro M5S (da 90mila seguaci ciascuna) può darsi che questa sia la realtà parallela che verrà creduta. Tra l’altro, di teatro in teatro, continua un’efficace distrazione di massa dai guai di Virginia Raggi.

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Però lo schiaffo ricevuto dai grillini nel tentativo di rassicurare le cancellerie e smarcarsi dal ghetto xenofobo-populista è notevole. E sta facendo vacillare una baracca che sta insieme per miracolo. Davide Casaleggio è lo sconfitto di ieri, è lui che aveva gestito questa cosa, e questo fa rialzare leggermente Luigi Di Maio. I due hanno un patto. Del giovane di Pomigliano, Beppe Grillo non molto tempo fa, all’epoca dei disastri sulla Muraro, disse «gli facciamo abbassare un po’ le penne, ma dobbiamo tenerlo». Di Maio serve alla Casaleggio perché non hanno costruito (finora) un altro potenziale candidato premier. Eppure ieri mattina il vicepresidente grillino della Camera aveva osservato che la scelta dell’Alde era «tecnica» (ripetendo che «vogliamo subito un referendum sull’euro»), ma aveva aggiunto un sibillino: «Se l’adesione a un gruppo fosse per affinità politica, allora avremmo sbagliato gruppo». Una frase intelligente, che gli offre una ritirata e gli consente adesso di dire, anche al Casaleggio jr bastonato, ve l’avevo detto. Un europarlamentare come Piernicola Pedicini, molto legato a Di Maio da amicizia e origini geografiche, è stato forse il più duro di tutti i grillini: per noi questa vicenda «è un danno enorme», finiremo «molto probabilmente» nel gruppo dei non iscritti.

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Il fronte della rivolta – quel vasto mare magnum che unisce aree e persone diversissime, da Roberto Fico a Roberta Lombardi, da Paola Taverna e Carla Ruocco a Federico D’Incà – ha perso un’altra occasione per mostrare un minimo di coraggio e esprimere pubblicamente i mugugni per l’intesa con i liberali ultra pro euro, che tanti di loro in privato esprimevano. Farlo ieri sarebbe stato ridicolo.

Alessandro Di Battista, che si era eclissato come sa fare nella mala parata, in serata aveva un appuntamento fissato su La7 a Otto e mezzo. E ha provato a fare il suo numero televisivo, il sistema, i poteri forti, l’Europa, «quello che io noto è che il M5S in Italia e in Europa viene percepito come un copro estraneo». Ha detto «la mia posizione è sempre stata quella di riuscire a formare un gruppo autonomo. Quando noi andiamo da soli, secondo me è sempre meglio». Ma dirlo dopo non suonava convincentissimo. La cosa più interessante è stata invece quando ha spiegato che adesso dovranno «cercare di formare un gruppo autonomo con delle delegazioni di diversi Paesi». E che restare con Farage, a questo punto, «non sarà facile». Insomma, se è vero che i guai della Raggi sono stati coperti per qualche ora, il prezzo è che ora Farage gioca al gatto col topo con Grillo.

Già, il leader dell’Ukip. Martedì aveva detto a Grillo «l’alleanza con Verhofstadt durerà poco»; e così ieri s’è divertito ad andare in giro a raccontare di aver comunicato al comico «poco, ma non pensavo così poco».

 

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lastampa/Casaleggio jr azzoppato e dopo mesi neri Di Maio rialza la testa JACOPO IACOBONI

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