Napolitano: se bisogna anticipare le urne «meglio prima che dopo»

Come scrive Ugo Magri «un voto alla naturale scadenza del 2018 sarebbe considerato sul Colle...

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Come scrive Ugo Magri «un voto alla naturale scadenza del 2018 sarebbe considerato sul Colle la strada più sicura.

Ma se proprio si dovrà votare, la previsione di chi meglio conosce Mattarella è che non alzerà le barricate per posticipare di qualche settimana le urne».

Ma il Capo dello Stato guarda con favore all’accordo. Nessuna obiezione al voto

Se bisogna anticipare le urne «meglio prima che dopo»

ROMA – Nove anni di presidenza Napolitano ci avevano assuefatto all’idea che l’ultima parola, la più alta e definitiva, venisse sempre pronunciata sul Colle. Per quel riflesso condizionato, non deve sorprendere che in queste ore tutti gli sguardi siano rivolti al Quirinale. Ciascun protagonista vorrebbe che Sergio Mattarella si schierasse dalla sua parte. In particolare, l’ultima speranza di quanti considerano una disgrazia votare subito è che l’attuale Presidente si faccia sentire, rivendichi le proprie prerogative costituzionali in materia di scioglimento delle Camere e vieti ai partiti di commettere una doppia sciocchezza: correre alle urne il 24 settembre, per giunta con una legge proporzionale che ci riporterebbe ai fasti della Prima Repubblica. E quanto più il Capo dello Stato tace, tanto più forte risuonano le dichiarazioni del suo predecessore: come se Giorgio Napolitano, con la sua opinione sempre autorevole, in qualche misura supplisse alle prudenze e ai silenzi.

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Il riserbo di Mattarella è ormai proverbiale. In questa fase, poi, la stessa cautela contagia i più stretti collaboratori. Però chi conosce il Presidente, e spesso lo frequenta, si è fatto un’idea diversa da quella corrente: che la presunta timidezza (contrapposta alla verve polemica di Napolitano) in questo caso non c’entri un bel nulla. E se Mattarella si astiene dalle esternazioni è perché ha una visione diversa da quanti gli chiedono di entrare in tackle, a piedi uniti, contro Renzi, Grillo, Berlusconi e Salvini. Cioè i leader di partiti che insieme rappresentano l’80 per cento del popolo italiano. Il Presidente non interviene a gamba tesa perché reputerebbe sbagliato farlo.

Intanto, non c’è ancora una legge con cui andare al voto. Esiste un vasto accordo di massima, che ogni giorno deve affrontare la sua pena. I giuristi del Colle tengono ben presenti le obiezioni di quanti annusano un «fumus» di incostituzionalità. Ma il giudizio compiuto lo formuleranno se e quando il “tedesco” sarà legge e arriverà sullo scrittoio presidenziale per la controfirma. Per ora siamo ben lontani da quella fase. Idem per quanto riguarda la data del voto: oggi abbiamo un governo e un premier nella loro piena legittimità. Di urne Mattarella discuterà il giorno che Paolo Gentiloni salirà al Colle, non prima. Le forme sono sostanza, violarle non sarebbe privo di conseguenze politiche. Far circolare dubbi sulla legge elettorale proprio mentre il Parlamento ne sta discutendo, attirerebbe sul Quirinale l’accusa di mettere in pericolo un accordo storico, di «pacificazione e coesione nazionali» (come è arrivato a magnificarlo ieri Brunetta). E se come conseguenza della nuova legge i grandi partiti chiedessero tutti insieme di votare, come potrebbe il Capo dello Stato rispondere «no, ve lo nego»?

Infatti, nelle massime sedi istituzionali già circolano delle ipotesi. Una è che Gentiloni, considerando esaurita la propria stagione, tra qualche settimana si dimetta “sua sponte”. L’altra ipotesi fa riferimento al precedente del 1994, quando le Camere vennero sciolte dall’allora Presidente Scalfaro senza che il governo guidato da Ciampi avesse nemmeno dato le dimissioni. Tutti i possibili scenari vengono presi in esame, nell’eventualità che i grandi partiti concordi pretendano di votare. Poi, è chiaro che Mattarella (al pari di Napolitano) nutre fortissimi dubbi sull’opportunità di precipitarsi alle urne. Ne coglie tutti quanti i rischi, specie per quando riguarda gli impegni finanziari da assolvere, in primis la legge di stabilità. Un voto alla naturale scadenza del 2018 sarebbe considerato sul Colle la strada più sicura. Ma se proprio si dovrà votare, ecco la previsione di chi meglio conosce Mattarella, il Capo dello Stato non alzerà certo le barricate per posticipare di qualche settimana le urne. Anzi, a quel punto tanto varrebbe tenere le elezioni il più presto possibile, perfino il 24 settembre, in modo da avere tempo sufficiente per ricomporre i cocci della politica e scongiurare quantomeno il danno dell’esercizio provvisorio.

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