Macron, la ricetta contro i populismi

“La vittoria di Macron dimostra che i populismi si possono battere”, scrive Marco Zatterin.  Intanto Emmanuel...

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“La vittoria di Macron dimostra che i populismi si possono battere”, scrive Marco Zatterin.  Intanto Emmanuel Macron inizia a preparare la squadra di governo, con François Bayrou in pole position come premier.

La ricetta che batte gli scettici

La vittoria di Emmanuel Macron dimostra che i populismi si possono battere. Il voto di domenica certifica l’esistenza di una maggioranza silenziosa di cittadini che vede ancora nel processo di integrazione europea la possibile soluzione alle esigenze di benessere, sicurezza e democrazia, anche se ne riconosce i limiti manifesti, ne contesta gli errori e gli egoismi, ne auspica una rapida riforma nel nome dell’efficacia.

Il giovane presidente francese ha conquistato l’Eliseo parlando di quello che gli elettori volevano sentire, del lavoro che non è più sicuro, della sicurezza che manca, delle diseguaglianze che crescono. In questo, ha fissato un precedente per i leader dell’Unione, necessario ma non sufficiente. Perché il difficile match con sovranisti e dintorni non è certo concluso. Il 33 per cento dei consensi raccolti da Marine Le Pen dimostra che gli arrabbiati sono tanti: al di là delle scelte ideologiche, il loro voto esprime la furia per le risposte insufficienti che le loro paure hanno ricevuto dai governi nazionali e dall’Ue. La minaccia all’Europa resta, sottolineata anche dall’abbondanza delle schede bianche e dall’astensionismo, quest’ultimo scelto come opzione per esprimere il rifiuto del modo in cui si esprime il sistema e non di negazione del sistema stesso. L’elezione di Macron invita ad aprire un nuovo cantiere per rendere subito l’Europa più efficiente, nelle sue istituzioni e nelle scelte collettive degli Stati membri. Ma le circostanze che hanno portato alla sua elezione ricordano che, fra cinque anni, il muro anti Le Pen (o simili) potrebbe non tenere. In Francia e non solo.

Si sentono frequentemente i politici raccontare cosa intendano fare fra due anni a chi li invita a spiegare come pensino di correggere le crisi dell’oggi. Tutto questo, in Europa, non è più possibile senza che si paghi un prezzo, anche salato. Chi sceglie Marine Le Pen, e gli schieramenti che si oppongono ai partiti tradizionali, ha buone ragioni per farlo. E’ preoccupato per i propri diritti, vede le differenze sociali dilatarsi, le certezze cadere, le speranze infrangersi. Non vota a destra o a sinistra, ma indica chi ritiene possa tirarlo fuori dai guai, anche a costo di mosse spericolate.

Macron si è ritrovato al centro del palcoscenico e ha dato il messaggio giusto. Ha sfidato il «populismo» senza usare gli argomenti dei «populisti», ha promesso soluzioni che ora deve dare, difficili al punto che il giovane Emmanuel potrebbe presto trovarsi a pensare che arrivare all’Eliseo sia stata la parte più semplice del suo lavoro. I governi che siedono nei palazzi di Bruxelles devono avere la stessa paura e il medesimo passo. Si impone di distrarsi per qualche tempo dai piani quinquennali e dai progetti di riforma di lungo termine per mettersi al lavoro sulle soluzioni concrete che la flessibilità dei Trattati consente. Inutile fare il verso ai populisti, è dalla maggioranza silenziosa (e critica) che bisogna partire.

La fase tempestosa impone di investire insieme, essere solidali insieme, difendersi insieme, archiviando i giochini fra le capitali e sposando gli interessi nazionali con quelli della collettività, dicendo la verità senza tronfi ottimismi, pensando ai tanti e non ai pochi. Deve cominciare la stagione europea della concretezza, ispirandosi anche al successo di Macron. Altrimenti, tempo pochi anni, non potremmo fare altro che scrivere la storia della fine di un’Unione spazzata via dalla giusta vendetta dei cittadini delusi.

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