M5S e Pd puntano ai voti al Senato del terzo incomodo: Silvio Berlusconi

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Con la nuova Legge elettorale M5S e Pd puntano a conquistare i favori e i voti al Senato del terzo incomodo: Silvio Berlusconi.

La prova della verità per Renzi

Matteo Renzi ha combattuto e vinto la sua campagna congressuale cavalcando uno slogan («Passare dall’io al noi») che è per metà una promessa e per metà un abbozzo di autocritica rispetto a uno stile di direzione – del Partito democratico e del governo – assai spesso contestato.

È dunque a questa nuova linea, per dir così, che il segretario reinsediato dovrebbe improntate il suo secondo mandato, a cominciare dalla questione più controversa: il rapporto col governo di Paolo Gentiloni, l’uomo che proprio Renzi ha voluto prima alla Farnesina e poi a Palazzo Chigi.

Non è certo l’unico problema che il nuovo-vecchio segretario Pd si ritrova di fronte in questa non semplice ripartenza: ma è fuor di dubbio che la cartina di tornasole dei suoi nuovi intendimenti sarà proprio la qualità della collaborazione con l’esecutivo. Per intenderci: una nuova spallata, un ipotetico e ripetuto «Paolo stai sereno», getterebbe alle ortiche i mesi spesi dall’ex premier per ricostruire un profilo nuovo e, se possibile, più rassicurante. Come gestirà, dunque, questo rapporto? E che segnali ha finora inviato?

I pronunciamenti sono netti: il Pd non attenterà al lavoro dell’esecutivo, ha ripetuto Renzi più volte. Fino a prova contraria, non c’è motivo di dubitare della veridicità di queste affermazioni. Ma sarebbe un errore non annotare come alcuni segnali sembrino andare in altra direzione: sia rispetto ai rapporti con l’esecutivo, sia rispetto all’auspicato passaggio dall’«io» al «noi».

Al di là della circolare con la quale vengono ribaditi i poteri di supervisione della sottosegretaria Boschi su tutti gli atti di governo (che ha suscitato ironie e fastidi diffusi), alcuni altri interventi del leader Pd sono sembrati – soprattutto per i modi – un ritorno ai vecchi tempi e la prova di quanto Renzi fatichi a interpretare il ruolo di «leader collegiale». Hanno colpito, in particolare, gli smarcamenti (con annesse e implicite sconfessioni) su diversi atti di governo: l’intervento dopo il depotenziamento dei poteri di controllo di Raffaele Cantone, l’arrabbiatura sul telemarketing e soprattutto il brusco affondamento della nuova legge sulla legittima difesa.

Ora, che il segretario del partito di maggioranza abbia titolo a intervenire sui provvedimenti di un governo a guida Pd, è fuori discussione. Possono invece esser discussi i modi e i tempi di tali interventi. E non c’è dubbio che, tanto uscite che paiono tese a scaricare su altri (in questo caso compagni di partito) la responsabilità di errori più o meno gravi, quanto il ritorno ad antichissime «cabine di regia sull’operato del governo» paiono contraddittorie con la «nuova collegialità» annunciata.

È sperabile, naturalmente, che questo avvio di fibrillazione non condizioni il lavoro dell’esecutivo, impegnato in aggiustamenti finanziari che rendano meno dura la manovra d’autunno. Del resto, non è che al segretario del Pd manchino terreni sui quali lavorare. Ne indichiamo qui solo due: le elezioni amministrative di giugno (capaci di segnare da subito il secondo mandato di Renzi) e la legge elettorale da varare.

Ieri il Movimento Cinque Stelle si è detto pronto a lavorare con i democratici per una legge maggioritaria che assegni il premio non alla coalizione (come nel Porcellum) ma alla lista che ottiene il maggior numero di voti (che era la scelta dell’Italicum, ballottaggio escluso). I partiti minori – a destra e a sinistra – hanno subito storto il naso. Comprensibile: ma ora il Pd ha la possibilità – se i grillini fanno sul serio – di lavorare ad una legge che difenda il sistema maggioritario e assicuri governabilità. Che poi ci lavori assieme al Movimento di Grillo, in fondo ci sta: non foss’altro che perché la Grande Sfida delle elezioni che verranno vedrà di fronte proprio loro, Renzi e i Cinque Stelle. Un duello forse non esaltante alla maniera francese, ma certo più appassionante della somma di uomini e sigle cui costringerebbe un ritorno al proporzionale. Dunque, un buon obiettivo per il quale impegnarsi e lavorare…

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lastampa/La prova della verità per Renzi FEDERICO GEREMICCA

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