Cade l’illusione che l’incompetenza al potere possa portare qualcosa di buono

Sull’ultimo caso scoppiato in casa Cinque Stelle in merito alle dimissioni dell’assessore Berdini dopo i pesanti giudizi espressi...

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Sull’ultimo caso scoppiato in casa Cinque Stelle in merito alle dimissioni dell’assessore Berdini dopo i pesanti giudizi espressi sulla sindaca Francesco Bei, nel suo commento odierno su La Stampa, scrive: “l’ultima puntata del caso fa cadere l’illusione che l’ incompetenza al potere possa portare qualcosa di buono”.

L’eretico che svela la banda

L’ultima puntata del caso Roma, con le inevitabili dimissioni dell’assessore Paolo Berdini, fa cadere l’illusione che l’ incompetenza al potere possa portare qualcosa di buono. I fatti hanno la testa dura, diceva Lenin. E in una città disastrata come Roma, affidarsi a una giovane ragazza senza esperienze amministrative e, diciamo la verità, senza un vero programma che non fossero slogan o proclami di trasparenza, si è rivelato per quel che era: nient’altro che il frutto della rabbia, un gigantesco vaffa dei romani di ogni condizione e credo politico verso i precedenti amministratori, di destra e di sinistra. Come il malato incurabile che pensa di non aver più niente da perdere e si affida al Di Bella di turno per essere salvato.

E tuttavia il colloquio di Berdini con il nostro collega Federico Capurso – non rubato, senza trappole o manipolazioni, solo vecchi ferri del mestiere – ci fa fare un passo avanti nella comprensione di quanto è accaduto. Come nella fiaba di Andersen il bambino ha gridato quello che tutti sapevano e non volevano dire: il re è nudo. Al di là dei post di Grillo sui presunti 43 successi della giunta, sbriciolati di fronte a un puntuale fact-checking, oltre la cortina di propaganda, oltre gli attacchi ai giornalisti, gli insulti rabbiosi dei militanti, la cortina di silenzio imposta ai pochi disobbedienti come Roberta Lombardi, la verità l’ha detta l’assessore eretico.

Al Campidoglio c’è un sindaco incompetente (e non per la sua giovane età, ha precisato) circondato da «una banda». A volte la storia è strana, si affida a questi personaggi ai margini per illuminare il corso degli eventi. Berdini con la sua confessione ci fa entrare in quei corridoi finora rimasti chiusi al pubblico, a dispetto delle giaculatorie sullo streaming e la trasparenza. Porta al disvelamento dell’anomalia grillina, ancora ieri rivendicata da Luigi Di Maio, il prodotto migliore della scuderia. All’incontro con i sindaci a cinque stelle, Di Maio si è spinto a proclamare con orgoglio: «A questo tavolo non c’è una classe dirigente, classe dirigente è un termine da abolire». Purtroppo per Di Maio e per il Mago di Oz che ogni tanto spara dal blog i suoi oracoli numinosi, essere classe dirigente è un peso e un dovere per chi vuole governare. E proprio il gruppo dirigente raccogliticcio messo insieme da Raggi si è dimostrato non solo incapace di imprimere una svolta all’amministrazione, ma soprattutto ha mostrato la sua caratteristica più preoccupante: la permeabilità a gruppi di interesse opachi. Come quello, stando all’accusa, rappresentato dai fratelli Marra, che ha colonizzato il Campidoglio come «un virus», per usare un’espressione efficace di Lombardi.

Sarebbe troppo speculare ora sul passaggio dal Movimento alla «Banda» di cui parla Berdini. Ma è chiaro che a Roma tutto quello che poteva andare storto c’è andato. E davanti ai cittadini resta uno spettacolo di macerie fumanti. Avrà Virginia Raggi la forza di ripartire un’altra volta?

PS: nell’era delle fake-news e delle post-verità, a vincere questa volta è il giornalismo di una volta, nella mani di un giovane professionista che è andato in periferia a seguire un incontro di un assessore. Si è avvicinato, si è presentato per quel che era, ha fatto delle domande e ha portato a casa la notizia. Senza trucchi. 

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