L’Europa che verrà e i cavalli di razza dell’Italia EUGENIO SCALFARI

EUROPA – La società globale comporta la necessità di costruzione di Stati di dimensioni continentali....

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EUROPA – La società globale comporta la necessità di costruzione di Stati di dimensioni continentali. L’Ue ha bisogno di un ministro unico per le Finanze e un dicastero che coordini l’immigrazione. L’Italia invece ha bisogno di un sistema elettorale bipolare

IL giorno dopo la riunione del G7 di Taormina del 26 e 27 maggio prossimi presieduta dal premier italiano Paolo Gentiloni, presente anche Donald Trump, dovremo occuparci dei problemi economici e sociali di una società globalizzata. Intanto, l’Italia registra una serie di altri casi, l’uno più fragoroso dell’altro: le rivelazioni di de Bortoli su Boschi; le polemiche sulle dichiarazioni di Debora Serracchiani sugli strupri commessi da immigrati; la riforma della legge elettorale; i rapporti tra Renzi e il governo sostenuto dal suo partito; partito che — almeno in questi ultimi tempi — il segretario guarda con occhio sempre più critico. Infine ci sarebbe da commentare un’ampia intervista a Renzi di Claudio Cerasa, direttore del Foglio, che di per sé è già una notizia: è un giornale che vende poche migliaia di copie e non ha una rappresentanza culturale di assoluto rilievo. Non è il solo nel panorama della stampa italiana. C’è Libero, c’è La Verità, ed altri giornali che non sto a nominare. Si dirà che anche Il Mondo ai tempi di Mario Pannunzio negli anni Cinquanta è passato alla storia del giornalismo nonostante la scarsità delle vendite. È evidente la ragione: Il Mondo aveva una visione culturale della società italiana. Forse ce l’ha anche Il Foglio ma almeno per ora ce ne accorgiamo piuttosto raramente. È chiaro che interviste con Renzi giovano alla bisogna e perciò, caro Cerasa, datti da fare.

A me viene voglia, prima di affrontare i problemi che contano, di fare una breve pausa culturale che ricavo dai miei pensieri ed anche da alcuni fatti — sempre culturali — verificatisi nei giorni scorsi. Dei miei pensieri, proprio in questi giorni, m’è tornato in mente un libro assai strano, scritto da un ancor più strano autore: Joseph de Maistre col titolo Le serate di Pietroburgo. L’autore era un reazionario al cento per cento e questa sua posizione rende ancora più anomala una frase che ricordo d’aver letto in quel libro molti anni fa. Diceva all’incirca così: per vivere meglio che posso mi piace restare molto a lungo da solo nella mia stanza e con i libri che la abitano. Debbo dire: da quella stanza uscì il suo libro nell’anno 1821. Le sue idee sono repulsive ma quella sopraccitata apre una finestra non disprezzabile sull’anima sua e, a ricordarla, anche nella mia.

Ma ci sono stati, come ho già detto, alcuni fatti culturali molto importanti in questa settimana. Il primo è un film di Walter Veltroni che sarà visibile tra pochi giorni, dal titolo Indizi di felicità. Sono quelli che vengono presi da chi vive una vita che sente infelice e spera di modificarla rendendo vivibile un sofferto presente con la speranza che quel futuro sia sempre migliore. Si direbbe come commento che i brevi riposi di felicità dipendono da un’infelicità semipermanente. Per molti casi è una triste verità e questo è il modo di sopportarla mirando sempre al meglio.

L’altro tema culturale è l’articolo di Bernardo Valli pubblicato questa settimana sull’Espresso. Valli esamina il problema per certi aspetti non molto diverso da quello di Veltroni ma ancora più icastico. Lo desume dal libro più recente di José Saramago con il titolo Le intermittenze della morte. Il tema è di esaminare che cosa avverrebbe se ad un certo punto la morte diventasse immediata per tutti gli umani viventi. Cioè l’umanità scompare, almeno per un lungo periodo e magari poi rinascerà ma questo non è detto esplicitamente. È detto invece che per esempio un Dio, comunque lo si pensi, su un pianeta deserto di uomini e donne viventi non avrebbe senso alcuno. Credo che il significato che Valli ha voluto dare ai suoi lettori utilizzando un Saramago che è sempre un autore di estremo interesse, sia quello di stimolare i nostri simili ad amare sempre di più e sempre più produttivamente i nostri figli, i nostri nipoti e il nostro prossimo.

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Veniamo alle cose meno serie ma più importanti per migliorare la vita politica, economica, sociale. Il primo tema da affrontare è quello della legge elettorale, tenendo ovviamente conto delle direttive della Corte costituzionale, ma anche della storia del nostro sistema democratico il quale è afflitto da un peso intollerabile: non è un sistema bipolare ma tripolare.
La tripolarità equivale a ingovernabilità, quindi è necessario tornare a due schieramenti che si fronteggiano: conservatori contro progressisti, oppure moderati contro radicali, oppure destra contro sinistra. Insomma, chiamateli come vi pare, ma occorre che siano due che si affrontano affinché il sistema funzioni: chi vince governa, chi perde critica, infine sistemi diversi e contrastanti ma in un modo che anima il governante a dare il meglio di sé e gli oppositori a intravedere e operare per un futuro ancora migliore.

Resta tuttavia una realtà: le opinioni dei cittadini sono più variegate di due soltanto. Due sono il fondamento, ma i dettagli di quel fondamento si dividono su tre o quattro varianti. Possono convivere tra loro ed anzi alimentarsi reciprocamente al meglio, purché di quelle varianti si tenga conto. Se vogliamo un esempio usiamo la musica che è la più adatta a farci capire di che si tratta: la chiave musicale non può che esser comune a uno dei due schieramenti e l’altro avrà una chiave diversa; ma le tonalità sono diverse anche in ciascuna delle chiavi che governano la melodia. Vi ricordate certamente che i cantanti di un’opera lirica vanno dal basso al baritono e al tenore. Ciascuno dei tre canta nella stessa chiave ma con tonalità molto diverse l’uno dall’altro. Queste sono le varianti anche in un sistema politico bipolare.

Per realizzare questo che consente a ciascuno dei due schieramenti contrapposti di suonare in chiave unica con tonalità diverse e quindi più attraenti per gli elettori, si ottiene autorizzando le liste di coalizione al voto. Realizzare le alleanze ad elezioni avvenute rischia di rendere il sistema non bipolare ma nemmeno tripolare, arrivando addirittura al quadripolare o al quintipolare. Il Paese in queste condizioni diventerebbe ingovernabile con la democrazia e scivolerebbe inevitabilmente verso la dittatura. È avvenuto molte volte e suggerirei di non rischiarlo proprio in un momento dove oltre ai problemi della nostra democrazia esiste il problema dell’Europa. Mi auguro comunque che Renzi capisca questi problemi relativi alle coalizioni e/o alle alleanze postelettorali e si comporti di conseguenza.

Il G7 economico e finanziario concluso ieri a Bari ha parlato limitatamente dell’Europa ma il tema è di estrema importanza, e per esempio mi pare si sia parlato poco della Francia di Macron, anche se questo è il tema principale che si pone dopo la vittoria di quel Movimento.

La Francia di Macron è europeista ma non per questo diminuisce il peso politico francese anzi lo aumenta. Non a caso infatti la prima telefonata del nuovo presidente della Repubblica è stata per Angela Merkel. L’obiettivo di Macron è evidentemente quello di resuscitare il tandem franco-tedesco che ha guidato l’Europa per molti anni ma da tre o quattro, cioè da quando Hollande non era più palatabile, era stato del tutto cancellato. È ovvio che dopo la vittoria il nuovo Presidente voglia ricostituirlo e anche la Merkel è favorevole: un Paese al centro dell’Europa da solo comporterebbe un coinvolgimento non soltanto di politica economica e sociale ma di politica estera, di politica dell’immigrazione e persino della necessità di prepararsi a guerre in vari scacchieri dove già si combatte in vario modo. Dunque si sta per riformare il binomio franco-tedesco il che naturalmente aumenta l’importanza della Francia, fermo restando che quel Paese e la sua storia alle spalle influiranno sul rafforzamento dell’Europa e delle sue istituzioni che vanno appositamente riformate. La società globale comporta la necessità di costruzione di Stati di dimensioni continentali.

L’Europa qualche passo nella giusta direzione l’ha fatto, ma soltanto in parte. Ha creato, ad esempio, una moneta comune alla quale solo 19 Paesi per ora partecipano. Gli altri però, sono insieme nella guerra col Califfato. È una guerra che coinvolge l’intero Medio Oriente, diretta, per interposte forze o diplomatica, con ripercussioni in tutto il mondo occidentale.
L’Italia in questo contesto non è marginale. Non fummo marginali fino agli anni Novanta, cioè quando al Quirinale c’era ancora Carlo Azeglio Ciampi. Ma quando scadde il suo mandato e il berlusconismo prese la guida del Paese la nostra presenza in Europa di fatto scomparve. Sono passati da allora circa vent’anni e adesso la situazione può decisamente cambiare. Renzi questo problema l’ha capito ed ha fatto anche dei passi importanti verso non dirò la sua soluzione ma il suo progresso verso gli Stati Uniti d’Europa. La prima mossa riguarda il ministro unico delle Finanze per l’eurozona. Che dipenda esclusivamente dall’eurozona e sia l’interlocutore principale della Banca centrale europea. La seconda mossa è quella di un ministro dell’Interno europeo che coordini i problemi dell’immigrazione in tutti i suoi vari aspetti, estremamente complessi sia per la gestione in Europa delle emigrazioni autorizzate e sia per il loro contenimento nei Paesi d’origine discutendo con quei governi e finanziando a spese dell’intera comunità quello che ne deriva.

C’è poi il tema della crescita economica che non è soltanto il discorso sulla flessibilità ma riguarda la politica economica europea vista unitariamente, come Draghi predica da tempo e come anche Renzi ha cercato di portare avanti con il suo “Migration Compact”. C’è dell’altro però. Macron dovrà ancora dirci in che modo intende far funzionare economicamente il binomio Francia-Germania. Deve però prendere atto che il tema che affligge l’intera Europa e l’intero Occidente è quello delle diseguaglianze, come ha perfino ripetuto quasi ogni giorno papa Francesco. Le diseguaglianze hanno pochi mezzi tecnici per essere diminuite, il primo dei quali è rappresentato da quello che in Italia si chiama cuneo fiscale, che opera appunto nella diminuzione delle diseguaglianze di redditi e di patrimoni attraverso la nazionalizzazione dei contributi di lavoro. Ci sono naturalmente anche altri metodi ma quello è un tema non solo di giustizia sociale ma anche di produttività che è quella politica keynesiana che anche Draghi suggerisce.

Da notare l’intervista che il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha concesso in esclusiva al nostro giornale pochi giorni fa. Non è quel personaggio che sembrava essere almeno fino a poco tempo fa. È un ministro che accetta anzi suggerisce di incrementare la politica di sviluppo, di investimenti, di europeismo nella politica economica. Francamente non ci aspettavamo uno Schäuble di questa tempra e non credo che volesse limitarsi a fare buona figura col pubblico e i lettori di un grande giornale italiano. Penso che abbia preso atto della lealtà e ne stia tenendo conto.

Infine Renzi ha lanciato l’idea di un presidente dell’Europa eletto direttamente dal popolo sovrano europeo, senza distinzione tra nazione e nazione. Un presidente insieme al quale il popolo europeo voterebbe anche i componenti di una Costituente incaricata nello spazio di non più che due o tre anni di redigere una Costituzione che si attaglia ad un continente federato. L’attuale presidente Tusk aveva già lanciato un’idea consimile. Renzi la faccia interamente propria e la porti finché può fino in fondo. Macron appoggerà una politica di questo genere? Speriamo di sì perché senza la Francia non si arriva all’Europa. Ma se ci si arriva la Francia avrà il peso che la sua storia e la sua presente realtà consentono, peso molto alto ma non certo molto superiore a quello della Germania e a quello dell’Italia e di tutti gli altri Paesi, i ventisette che diventano uno solo: questo è l’obiettivo che dobbiamo proporci. Aggiungo per Renzi che avrebbe dovuto e dovrebbe mettere nella sua squadra, insieme ai giovani da formare e ai suoi attuali collaboratori, anche i cosiddetti cavalli di razza che hanno notevole effetto sull’opinione pubblica del Paese. Penso a Romano Prodi, a Walter Veltroni, a Enrico Letta, a Giuliano Pisapia e a quanti hanno operato nel corso degli anni per accrescere la qualità della vita e della cultura di questo Paese. Quanto a me, ho tanti pensieri con i quali mi passa il tempo. Quando posso darò qualche suggerimento come fanno i nonni ai giovani nipoti.

/larepubblica

 

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