Monte dei Paschi di Siena: Bail-in o bail-out?

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Sugli esiti degli stress test sulle banche europee – in via di pubblicazione – sono uscite anticipazioni che indicano il Monte dei Paschi di Siena come la più fragile banca italiana. In caso di sua liquidazione la questione è se, come imporrebbe il bail-in, farne pagare il prezzo a tutti o solo a una parte dei detentori di obbligazioni. Il governo – per motivi politici – spinge per una soluzione che salvi gli obbligazionisti per un altro giro con il concorso di soldi pubblici, cioè del solito Pantalone.

Leggiamo cosa scrive, nel merito, Nicolas Véron su la voce.info nel suo articolo titolato:

Bail-in o bail-out? Il dilemma sul Monte dei Paschi

Di fronte alla grave situazione del Monte dei Paschi, il governo italiano si è opposto a qualsiasi forma di coinvolgimento dei creditori subordinati nella procedura di insolvenza. Eppure, in Europa e nel mondo, in situazioni analoghe, ciò è avvenuto. Rimane la necessità di salvaguardare i truffati.

Quando si usa il bail-in

La situazione del Monte dei Paschi di Siena ha imposto all’attenzione pubblica l’idea del “bail-in”, in virtù del quale le perdite delle banche devono ricadere (almeno in parte) su alcuni creditori, specialmente quelli subordinati, invece di essere addossate allo Stato ricapitalizzando gli istituti in difficoltà con risorse pubbliche – il cosiddetto bail-out.
Il bail-in può essere preferibile al bail-out per varie ragioni. Dare garanzie pubbliche ai creditori delle banche in caso di fallimento distorce la concorrenza tra gli istituti di credito dei vari stati dell’Unione Europea. Tali garanzie comportano un uso controverso dei fondi pubblici, danno incentivi sbagliati alle banche e contribuiscono a determinare il circolo vizioso tra banche e stati nazionali che ha messo a dura prova la stessa integrità dell’area dell’euro nel 2011–12. Nella sua azione a tutela della concorrenza, la Commissione europea ha il mandato di combattere e limitare la concessione di aiuti di Stato a imprese e banche. Nel maggio 2014 l’Unione Europea ha poi adottato la Bank Recovery and Resolution Directive(Brrd), secondo la quale il bail-in è l’opzione-base in caso di fallimento di una banca. Ciò fa parte di un processo globale di riforma promosso dal Financial Stability Board (Fsb), mirante a evitare che le banche siano considerate come “troppo grandi per fallire” (Too-Big-To-Fail).
Negli Stati Uniti, nonostante un vivace dibattito pubblico sull’idea che le banche siano “troppo grandi per fallire”, il bail-in dei creditori è una pratica consolidata. La Us Federal Insurance Deposit Corporation, che si occupa non solo dell’assicurazione dei depositi bancari ma anche della ristrutturazione o chiusura delle banche statunitensi, ha chiuso centinaia di istituti nell’ultimo decennio, infliggendo perdite sia a creditori subordinati che a quelli privilegiati nella misura resa necessaria dai “buchi” nei loro bilanci. Il caso più eclatante si è verificato nel 2008, in un momento di estrema tensione sui mercati finanziari, quando la Fdic ha chiuso Washington Mutual, banca significativamente più grande del Monte dei Paschi, infliggendo perdite ai suoi creditori. Nell’Unione Europea, ci sono stati pochi casi in cui i creditori privilegiati delle banche hanno subito perdite: in Danimarca nel 2010, a Cipro nel 2013, in Portogallo alla fine del 2015 e in Austria nel 2016. Invece il bail-in dei creditori subordinati è diventato pratica diffusa negli ultimi cinque anni, non solo nei paesi già citati ma anche in Grecia, Irlanda, Olanda, Slovenia, Spagna, Gran Bretagna e nella stessa Italia.
Nel caso dell’Italia, tuttavia, a complicare le cose è stato il fatto che le banche hanno venduto una parte considerevole del proprio debito subordinato e privilegiato, e anche delle proprie azioni, alla clientela al dettaglio, cioè a piccoli risparmiatori, senza che le autorità pubbliche (tra cui la Consob e la Banca d’Italia) sollevassero alcuna obiezione, anzi – fino a pochi anni fa – perfino con il loro incoraggiamento sotto forma di incentivi fiscali. La pratica si configura come una massiccia violazione della protezione dei risparmiatori, poiché questi strumenti finanziari, e soprattutto le azioni e il debito subordinato, sono intrinsecamente rischiosi e non avrebbero dovuto essere venduti alla clientela al dettaglio come se fossero investimenti sicuri, anche prima che l’Unione Europea avviasse le prime consultazioni sulla Brrd dal 2010 in poi. Pratiche dubbie di questo tipo si sono verificate anche in altri paesi europei, ma solo in Italia sono diffuse su scala così estesa.

Trovare l’equilibrio giusto

In situazioni complesse come quella di Monte dei Paschi, nonché in altri casi che si potranno verificare in Italia, può essere difficile trovare il giusto equilibrio tra bail-out e bail-in.
La crisi cipriota del 2013 è un esempio in cui l’Unione Europea ha imposto una dose eccessiva di bail-in, che ha notevolmente eroso la fiducia nel sistema finanziario e ha condotto alla prima imposizione di controlli sui movimenti di capitale all’interno della zona dell’euro. È giusto che le autorità della Ue si mostrino flessibili, così come hanno fatto consentendo alle autorità italiane di invocare l’articolo 32(4)(d)(II) della Brrd per fornire liquidità a sostegno delle banche. Ci si attende inoltre che la clausola di esenzione prevista dall’articolo 32(4)(d)(III) possa essere invocata per effettuare una “ricapitalizzazione precauzionale” di Mps, nel qual caso il bail-in sarebbe richiesto solo per i creditori subordinati, come previsto dalla regolamentazione comunitaria sugli aiuti di stato applicata in tutta la Ue da più di tre anni. Ciò significherebbe che nessuno dei creditori privilegiati o dei depositanti sopporterebbe alcuna perdita. Né ci sarebbe alcun contagio verso altri paesi dell’area euro, poiché al di fuori dell’Italia il principio che i creditori subordinati debbano essere soggetti a bail-in è ormai accettato e scontato dal mercato. Inoltre, la Commissione Ue acconsentirebbe che vengano compensati i creditori subordinati al dettaglio che possono esser considerati vittime di comportamenti fraudolenti delle banche, com’è stato fatto nel caso delle quattro banche italiane salvate alla fine del 2015 e anche in Spagna nel 2012.
Tutti concordano sul fatto che gli azionisti non abbiano diritto ad alcun compenso delle perdite subite, anche se possono essere dolorose. Di conseguenza, la discussione su Mps verte su quei creditori subordinati che non possono esser considerati come vittime innocenti di vendite fraudolente, cioè le famiglie benestanti, gli investitori professionali e le altre banche. Il governo italiano sembra opporsi fieramente a qualsiasi bail-in di questi creditori. Ma è un atteggiamento difficile da giustificare sulla base di preoccupazioni di stabilità. Le banche emettono ormai molto meno debito subordinato che in passato e si spera che lo propongano comunque solo a investitori esperti. Se la comunicazione delle informazioni agli investitori sarà fatta anche solo con un minimo di competenza, non c’è alcun rischio di generare una corsa agli sportelli.
Insomma, un ragionevole compromesso dovrebbe prevedere il bail-in dei creditori subordinati, presumibilmente nella forma di uno scambio tra debito e azioni; una compensazione delle perdite per le vittime di vendite fraudolente di debito subordinato; e l’esenzione di tutti i creditori privilegiati e dei depositanti in base a quanto prevede la Brrd per le ricapitalizzazioni precauzionali.

* L’articolo è un estratto di “Italy’s banking problem is serious but not intractable” ripreso in italiano sul sito di la voce.info con il consenso dell’autore.

NICOLAS VÉRONDSC_0025

Nicolas Véron è senior fellow presso Bruegel, think tank con base a Bruxelles, che ha contribuito a fondare nel 2002-2004. Laureato presso l’Ecole Polytechnique e l’Ecole Nationale Superieure des Mines di Parigi, ha ricoperto varie posizioni nel settore sia pubblico che privato.

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