Governo e legge di bilancio 2017

Con l’economia ferma e un carico di troppe promesse, il governo fa fatica a finanziare...

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Con l’economia ferma e un carico di troppe promesse, il governo fa fatica a finanziare la legge di bilancio 2017. Deve disinnescare clausole di salvaguardia da 15 miliardi per non peggiorare le cose. E ha scelto di indirizzare le poche risorse residue all’incentivo di investimenti che – in un’economia piatta – non arriveranno. Contribuisce al rallentamento il ridimensionamento dell’incentivo alle nuove assunzioni. Restano in vigore sgravi modesti, poco utilizzati dalle imprese. Si potrebbero destinare i fondi rimanenti a un taglio strutturale del costo del lavoro. In ogni caso, meglio non aspettarsi fuochi di artificio sul mercato del lavoro.

Il governo verso un’inutile manovrina

Il governo arriva in difficoltà alla legge di bilancio 2017, per la scomparsa della crescita economica e le troppe promesse degli ultimi mesi. Si prefigura una manovrina che servirà davvero a poco per il rilancio del paese. Gli incentivi vanno alle imprese mentre i consumi languono.

Crescita bloccata

Il governo arriva alla legge di bilancio 2017 con il fiato corto per la scomparsa della crescita economica e le troppe promesse degli ultimi mesi. E così si appresta ad approvare una manovrina che farà poco per rilanciare la crescita.
La congiuntura è peggiorata durante la primavera. Il Pil si è fermato nel secondo trimestre 2016 e anche la disoccupazione ristagna da mesi intorno all’11,5 per cento. Sul mercato interno le vendite al dettaglio nei primi sette mesi dell’anno hanno fatto segnare un -0,3 in volume. In attesa degli effetti della cancellazione dell’Imu sulla prima casa, l’effetto positivo degli 80 euro (che aveva alimentato l’aumento dei consumi 2015) è più che controbilanciato dal drastico peggioramento della fiducia dei consumatori, in netto calo dal gennaio 2016. Sull’estero, l’andamento delle esportazioni (un modesto +0,4 nel primo semestre 2016 rispetto al 2015; il peggior primo semestre dal 2009) soffre del venir meno degli effetti positivi delle politiche Bce sul cambio dell’euro e del rallentamento della congiuntura internazionale. E il buon andamento del settore automobilistico è insufficiente a sostenere l’evoluzione complessiva della produzione industriale che nei primi sette mesi dell’anno ha fatto registrare un magro +0,7 sul 2015.
Il rallentamento della crescita 2016 al di sotto dell’1,2 per cento e una dinamica dell’inflazione inferiore al +1,0 per cento contabilizzato nel Def dello scorso aprile 2016 faranno salire il deficit pubblico 2016 sopra al 2,3 del Pil concordato con Bruxelles (pur mantenendolo sotto al 3 per cento del Pil e probabilmente anche al 2,6 per cento del 2015). Quando la crescita cumulata nel triennio fatica a superare 1,5 punti percentuali, sarebbe meglio prenderne atto, evitando di ipotizzare dinamiche inverosimilmente ottimistiche per un’economia che – non per sempre, ma almeno oggi – è in grado di crescere solo di uno zero virgola.

Tante promesse, poche risorse

La flebile crescita economica restringe il sentiero per soddisfare le tante promesse e aspirazioni di aumenti di spesa e di riduzioni di imposta che si accumulano sempre, specie in vista di un referendum dall’esito incerto e dagli effetti potenzialmente destabilizzanti. La prima e la più ineludibile è quella di cancellare 15,1 miliardi di tagliole fiscali, cioè l’eliminazione degli aumenti automatici di imposte indirette implicati dalle clausole di salvaguardia che avevano consentito di ottenere il bollino blu della Commissione europea sulle manovre del passato. Cancellare queste clausole è solo una condizione necessaria per evitare di deprimere l’economia, non una vera riduzione di imposta di cui si potrebbero valutare gli effetti espansivi. È un sospiro di sollievo avendo evitato un precipizio; non una boccata d’ossigeno all’inizio di una passeggiata in una bella giornata di sole.
Dopo la cancellazione delle tagliole, viene la lunga lista delle vere misure espansive. Ci sono spese per investimenti come quelli per la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto (spesa di emergenza) e degli altri edifici a rischio ogni volta che c’è un terremoto (misura strutturale), oltre al rinnovo dell’eco-bonus. Per la crescita c’è poi anche il pacchetto per incoraggiare Industria 4.0 presentato dal ministro Calenda (rinnovo del super-ammortamento del 2015, adozione di un’aliquota unica per le società di persone, detrazioni fiscali per gli aumenti di produttività) che si aggiunge al taglio dell’Ires dal 27,5 al 24 per cento già contabilizzato nella legge di stabilità 2016. E poi ci sono gli interventi per l’equità con le misure per le pensioni (l’anticipo pensionistico, l’estensione della platea dei beneficiari della cosiddetta quattordicesima e della no tax area, ricongiunzioni gratuite per chi ha versato contributi a differenti gestioni) e il rinnovo dei contratti per il pubblico impiego.
Lo spazio per le misure espansive è inevitabilmente ristretto dall’esiguità della crescita che riduce la torta delle risorse fiscali da usare come mezzi di finanziamento delle proposte. Così il governo dovrà fare ancora ricorso alla clausola di flessibilità (cioè al finanziamento in deficit), quest’anno giustificato sia dal rallentamento della congiuntura che dal terremoto. Oltre alle solite tasse sui giochi e al rinnovo della voluntary disclosure.
Giudicare è sempre più facile che fare. Dalle anticipazioni emerge tuttavia il quadro di una manovra di entità risibile, incentrata sugli incentivi alle imprese e agli investimenti. In un quadro in cui i consumi languono, incentivare gli investimenti (anche rinnovando provvedimenti non ancora valutati come il super-ammortamento e gli incentivi alla produttività) potrebbe risultare inefficace proprio nella promozione degli auspicati investimenti aggiuntivi. L’anticipo al 2017 della programmata riduzione delle aliquote Irpef (magari accoppiata con il sempre annunciato e mai attuato ridisegno dell’attuale sistema delle detrazioni e delle deduzioni fiscali) avrebbe potuto far di più per la ripartenza dei consumi e, per quella via, degli investimenti.

FRANCESCO DAVERIdaveri

Francesco Daveri è professore ordinario di Politica economica presso l’Università Cattolica (sede di Piacenza), dove insegna i corsi di Scenari Macroeconomici, International Finance, Economia Internazionale ed Economia Monetaria. La sua ricerca riguarda la relazione tra le riforme economiche, l’adozione delle nuove tecnologie e l’andamento della produttività aziendale e settoriale in Italia, Europa e Stati Uniti. Su questi temi ha svolto anche attività di consulenza per la Banca Mondiale, la Commissione Europea e il Ministero dell’Economia. Fa parte del Consiglio di reggenza della Banca d’Italia (sede di Bologna) e del Comitato di Sostenibilità di Eurizon Capital. Scrive articoli di commento sul Corriere della Sera. Segui @fdaveri su Twitter oppure su Facebook

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