L’Esercito indigeno italiano: una realtà eroica – Le campagne di Grecia e Creta (1)

Innesti culturali sul filo dei ricordi e della Storia per la rubrica ”PILLOLE DI STORIA” L’esercito...

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Innesti culturali sul filo dei ricordi e della Storia per la rubrica ”PILLOLE DI STORIA”

L’esercito indigeno italiano dal 1885 al 1941 fu protagonista della vita nelle Colonie. Migliaia di Caduti nel nome dell’Italia.

PARTE 1 – Eroismo, fedeltà e dedizione.

Chissà quanti romani sanno perché una delle più grandi piazze di Roma, quella antistante la stazione ferroviaria “Termini”, si chiama piazza dei Cinquecento. Eppure riguarda un episodio cruento della storia del nostro Paese da poco costituitosi in Stato unitario. I “cinquecento” erano nostri soldati, al comando del Col. De Cristoforis, caduti in un’imboscata di 10.000 Abissini a Dogali, una località eritrea dell’interno, sulla strada Massaua-Asmara. Era il 26 gennaio 1887 e da due anni l’Italia ha una sua piccola Colonia in un territorio senza nome, sulla costa africana del Mar Rosso. È l’Italia a darle il nome di Eritrea, denominazione che conserva tuttora, riprendendola dal nome che i Greci avevano dato al mare che la bagna, Erythrè Thalassa, letteralmente “rosso mare” (mar Rosso).

La storia coloniale italiana nasce come conseguenza dell’apertura, nell’agosto 1869, del Canale di Suez, che crea un passaggio diretto fra l’Europa e le rotte asiatiche. L’esigenza di costituire basi logistiche lungo la nuova via di comunicazione è rappresentata dalle Camere di Commercio italiane al Governo per contenere la concorrenza delle società commerciali straniere, in particolare inglesi e francesi.

È così che l’11 marzo 1870, un missionario Lazzarista, Giuseppe Sapeto, africanista ed antropologo, acquista, dal sultano Abdallah Sciahim, per conto della Compagnia genovese di navigazione Rubattino (quella che fornì le navi per la spedizione dei Mille di Garibaldi), la baia di Assab. Tutto lascia pensare che la somma sia fornita dal Governo italiano con la prospettiva politica di ampliare, in un secondo tempo, il territorio per un insediamento nell’Africa Orientale. Non è da escludere in proposito un incoraggiamento di parte inglese interessato a contrastare indirettamente un’espansione francese nell’area.

È l’inizio dell’avventura coloniale e Roma non è ancora capitale d’Italia!

La storia vera e propria della Colonia in quanto tale inizia, però, solo il 5 febbraio 1885, quando il Governo decide di acquisire in proprio il territorio con l’invio di un reggimento di Bersaglieri, al comando del col. Tancredi Saletta che, sbarcando a Massaua, completa l’occupazione del tratto di costa che va fino ad Assab. Dopo di che, con puntate nell’interno, amplierà il territorio spingendosi verso il Tigrè e l’Ogaden, costituendo, così, motivo di perenne frizione con l’Abissinia.

Con la Colonia inizia anche la storia dell’Esercito Indigeno. Il Col. Saletta, non potendo disporre di sufficiente personale per garantire la sicurezza del territorio, arruola la guardia armata precedentemente al servizio dell’Autorità egiziana che esercitava la sovranità sul territorio per conto del Governo ottomano.

Sono per lo più sudanesi ed, in parte, eritrei, yemeniti e somali, che, con un termine, certamente non gratificante, sono chiamati bashi-buzuk, letteralmente, “zucche vuote”, per il loro tarbush, il copricapo di foggia turca che indossano. Sono 200 elementi che passano al servizio dell’Italia al comando di un albanese, già fiduciario dei Turchi.

Il col. Saletta avverte subito l’esigenza di un salto di qualità con l’addestramento ed una maggiore disciplina affidando, ad Ufficiali nazionali, il comando dei reparti, lasciando a personale indigeno, i gradi intermedi. I sottufficiali nazionali hanno solo il compito di “istruttori”.

Già a Dogali, fra i “cinquecento” ricordati nella piazza romana, vanno annoverati anche i 40 indigeni che guidano, da esploratori, la colonna De Cristoforis.

La consacrazione definitiva di un Esercito indigeno si avrà solo con l’arrivo in Colonia del gen. Baldissera nell’aprile 1888. Questi, in maggio, trasforma radicalmente l’organizzazione dei “mercenari” stabilendo regole di arruolamento e di addestramento per migliorare l’efficienza dei reparti. Vengono costituiti quattro battaglioni, per un totale di 3.200 uomini, dislocati a Massaua, Saati, Moncullo e Archico, località strategiche per la difesa della Colonia dalle scorribande di predoni dal Sudan e dall’Abissinia. Non sono più bashi-buzuk, ma, per una loro maggiore dignità, saranno chiamati Ascari, parola turca che significa “soldato”. Nel 1891 entreranno a far parte del Corpo delle Regie Truppe d’Africa e l’anno successivo, l’11 dicembre 1892, con decreto reale, entreranno a far parte integrante del Regio Esercito Italiano. Hanno un’uniforme, gagliardetti e fasce indossate alla vita, di colore diverso per ogni battaglione. Saranno costituiti anche i Carabinieri indigeni che si chiameranno Zaptiè.

Il vincolo di fedeltà con l’Italia è ormai un fatto concreto, gli Ascari sono “soldati d’Italia” con un prestigio ed una carica di forti sentimenti di appartenenza. Baldissera pone la massima attenzione anche alla preparazione psicologica degli Ufficiali destinati al comando che devono mantenere la disciplina di soldati di etnie, usi, costumi e religioni, diversi fra loro. Oltre ai reparti di fanteria, vengono costituite due batterie di artiglieria da montagna, due squadroni di cavalleria e meharisti su cammelli veloci. Col tempo sarà prevalente l’elemento eritreo perché si è ormai cementata la fiducia della gente locale verso l’Italia.

Gli Ascari si accontentano di poco: viene loro dato il necessario per il sostentamento e, alla fine dell’ addestramento o delle operazioni belliche, dotati di padelle, si radunano in gruppi per cucinare. Inoltre sono seguiti dalle famiglie che si sistemano in appositi “campi-famiglia”. Da parte italiana vengono tenute nel massimo rispetto anche le abitudini alimentari, specie di matrice religiosa.

L’abilità e l’affidabilità degli Ascari si manifesta già nella campagna 1890/94 contro i Dervisci del Mahdi (santone musulmano) insediatisi a Cassala, che si spingono verso il confine eritreo terrorizzando le popolazioni dei villaggi con motivazioni di guerra santa. Fra tutte è doveroso ricordare la battaglia di Agordat dove, dopo una lunga marcia notturna, poco più di 2.000 Ascari, e soli 33 soldati nazionali, mettono in fuga circa diecimila Dervisci. Cadono oltre cento Ascari e per la prima volta sono concesse decorazioni anche se la parte preminente è appannaggio dei soldati nazionali. Il 17 luglio 1894 un’altra data miliare nella storia dell’Esercito indigeno (2.000 Ascari e soli 41 soldati nazionali): la conquista di Cassala, nel Sudan, capitale del regno Mahdista, roccaforte dei Dervisci. Gli Ascari riescono laddove erano falliti vari tentativi inglesi. Saranno ancora i battaglioni Ascari comandati da Toselli, Galliano e Hidalgo a risolvere le sorti della battaglia di Coatit il 13 gennaio 1895 e salvare la Colonia dalle mire di Mangascià, Ras del Tigrè, forte di circa 18mila guerrieri.

Lo spirito ed il morale degli Ascari resta saldo anche nei momenti difficili e nelle sconfitte. Verranno, infatti, le disfatte dell’Amba Alagi e di Macallè e la tragedia di Adua (1° marzo 1896) nelle quali gli Ascari s’immolano incuranti della schiacciante superiorità nemica (circa 100mila Abissini). Cadranno in combattimento i miti italiani delle guerre africane, il magg. Toselli all’Amba Alagi, il magg. Galliano ad Adua: in loro onore i battaglioni da loro comandati assumeranno i loro nomi e costituiranno le prime forti tradizioni militari delle truppe coloniali indigene. Gli Ascari saranno gelosi dell’appartenenza ai battaglioni di più eroica tradizione: gli arruolamenti per questi Reparti, in particolare i primi quattro, saranno selezionati e limitati ai villaggi di provenienza dei Caduti per consolidare il vincolo di sangue fra territorio e reparti. Significativo il contegno tenuto dagli Ascari presi prigionieri ad Adua: il Negus fa amputare loro la mano destra ed il piede sinistro. La feroce rappresaglia sui fedeli Ascari, è vissuta con rara dignità e le mutilazioni sono addirittura ostentate per dimostrare la partecipazione alla battaglia e la fedeltà al giuramento anche nella sconfitta.

Intanto nel 1890 le mire coloniali italiane si spingono alla costa somala. È sempre la spinta commerciale a determinare la politica governativa di espansione. Nell’agosto del 1892 è costituita la Colonia della Somalia del Sud, limitata alla regione del Benadir. Anche in Somalia viene costituito il Corpo degli Ascari, anch’essi passati dal servizio del Sultano a quello dell’Esercito italiano. Epica resta la difesa di Merca, paese della costa, nel maggio del 1904: 240 Ascari difendono la cittadina assediata da bande di guerriglieri per ben nove mesi.

Ormai l’impiego degli Ascari dimostra tutta la sua efficienza specie per la mobilità delle truppe che restano rigidamente appiedate. Si penserà a loro quando il problema del controllo della nuova colonia mediterranea, la Libia, dopo anni di occupazione, non trova soluzione a causa della guerriglia senussa.

Saranno i battaglioni Ascari eritrei, i nuovi reparti di Dubat, fanteria mobile creata in Somalia nel 1923, che affiancheranno gli Ascari libici ed i Savari, cavalleria libica, a risolvere, nel 1931, la piaga della guerriglia che si protraeva fin dal 1911. Sarà proprio un reparto indigeno libico a catturare l’imprendibile Omar el Muktar, il mitico capo della Resistenza cirenaica. Gli Ascari, impiegati anche come truppe da sbarco, alla fine delle operazioni avranno circa 200 decorati.

Gli Ascari partecipano, in numero cospicuo, anche alla campagna d’Etiopia. La loro avanzata è travolgente (Valle dell’Ende, Mai Ceu, Lago Ascianghi) e decisiva sarà la battaglia del Mecan (31 marzo 1936) dove devono sostenere il grosso ed il meglio dell’esercito del Negus determinandone la rotta. Solo motivazioni politiche li priveranno del privilegio della vittoria finale perché “dovranno” essere i soldati nazionali ad entrare ad Addis Abeba. Pur raggiungendo per primi i sobborghi della capitale etiopica vengono inviati a presidiare la stazione ferroviaria. Saranno solo truppe nazionali a sfilare trionfalmente nella capitale: il valore, la determinazione ed il decisivo contributo degli Ascari sarà riconosciuto da Badoglio solo nelle sue Memorie.

La seconda guerra mondiale è la consacrazione definitiva dell’Esercito indigeno. La difesa dell’Africa Orientale italiana, costituita dalle tre Colonie (Etiopia, Eritrea e Somalia) è affidata a 200mila Ascari e Dubat e 80mila nazionali. Lo sforzo maggiore dell’avanzata verso la Somalia britannica sarà sbloccata dagli Ascari nella battaglia del Passo Argan (10/14 agosto 1940) che lamenteranno 1868 Caduti, contro i 161 nazionali.

La controffensiva britannica determinerà la fine delle Colonie dell’Africa Orientale. Gli Ascari subiranno pesanti perdite e i Caduti saranno 14.686 ma le loro gesta restano epiche. È la maggiore dimostrazione della loro fedeltà che non vacilla sotto i colpi delle preponderanti forze nemiche. La difesa estrema di Cheren vede gli Ascari accorrere laddove c’è il pericolo di sfondamento nemico: il Dongolaas, il Golodorodoc, il Sanchil, monti della cintura difensiva di Cheren, riecheggiano delle gesta epiche degli Ascari. Sarà il 4° battaglione Toselli, il più famoso reparto indigeno costituito da Eritrei, a riportare l’ultimo successo in terra d’Africa: è il 7 febbraio 1941. Dopo cinque giorni di marcia il Toselli giunge ai piedi del Sanchil e, con un assalto alla baionetta e bombe a mano, liberano dall’assedio i nostri Granatieri di Savoia. Il Toselli subirà la perdita di 12 Ufficiali e circa 500 Ascari. Poi sarà la fine dell’Africa Orientale Italiana e dell’Esercito coloniale, degli Ascari, dei Dubat, dei Meharisti e degli Zaptiè. Molti però faranno parte di formazioni “partigiane” continuando la guerra clandestina con i loro comandanti.

Varie bande operano nel territorio ormai completamente occupato dalle truppe del Commonwelth. Fra le più famose vanno ricordate la Banda Hati del Cap. Gianni, la Banda Bellia e, soprattutto, la Banda del mitico Cap. Guillet che, ormai novantacinquenne, nel 2004 non mancherà all’inaugurazione della mostra di Roma sulle attività dell’Esercito indigeno. Di questa Banda, la più numerosa e la più audace, non sarà mai reso abbastanza onore a quei valorosi che, senza speranza, con scarsi mezzi ma con un entusiasmo ed un eroismo senza pari, continueranno a combattere per tener fede al giuramento verso l’Italia fino allo stremo.

Un popolo civile non può dimenticare le gesta eroiche di quanti hanno fatto la sua storia e della “nostra” storia fanno parte anche gli Indigeni delle Colonie che combatterono al fianco dei nostri soldati, sotto le nostre bandiere, nel nome d’Italia. Il loro grido d’assalto era “Savoia” come quello dei nostri soldati nelle guerre d’indipendenza, sul Carso, sul Grappa, a Vittorio Veneto. Il rapporto con quei soldati di colore fu umano, corretto, basato sulla dignità, sul reciproco rispetto e loro dettero all’Italia tutto il loro entusiasmo e la loro fedeltà.

L’epopea dell’Esercito indigeno italiano non può essere dimenticata. Nel settembre 2004, al Vittoriano di Roma, una mostra ha rievocato l’epopea dei fedeli Ascari. La guerra perduta e la spoliazione delle Colonie sono state le ragioni per non tenerne vivo il ricordo. La mostra di Roma però deve essere un esempio che va rinnovato e spetta al Ministero della Difesa promuovere iniziative per tenerne vivo il ricordo, magari con una mostra itinerante.

C’è da chiedersi perché non colmare lo spazio lasciato dall’espianto della stele di Axum a Roma con un monumento che ricordi le varie formazioni indigene del nostro Esercito? Per quanto è dato sapere, solo a Peveragno, nel Cuneese, nel monumento che ricorda il Magg. Pietro Toselli, l’eroe dell’Amba Alagi, l’Ufficiale è raffigurato con a fianco un Ascari. Probabilmente è la sola testimonianza che l’Italia ha della presenza degli Ascari nel nostro Esercito.

Vecchi Ascari hanno continuato, fino agli ultimi giorni della loro esistenza, a rendere omaggio, nel cimitero di Asmara, la capitale eritrea che più di ogni altra ricorda l’amministrazione coloniale italiana, ai loro vecchi comandanti che riposano nel sonno eterno, nella vecchia Colonia primigenia.

Fra questi va ricordato il vecchio, pluridecorato Ghelchessidam, fiero delle sue decorazioni italiane. La sua era una visita quotidiana alla tomba del mitico generale Orlando Lorenzini, Caduto in battaglia alla testa dei suoi Ascari a Cheren, ultimo lembo italiano in terra d’Africa.

Ghelchessidam, come gli altri Ascari, rifiutarono, nel 1985, la proposta del Governo italiano di una liquidazione che avrebbe posto fine alla pensione mensile. Molti, abitanti all’interno del Paese, preferirono sobbarcarsi le difficoltà dei viaggi pur di presentarsi mensilmente nella più vicina sede consolare italiana anche perché era l’occasione per poter salutare, con fierezza, il Tricolore.

È un raro esempio di una perdurante fedeltà non affievolita dal tempo e dalla sconfitta.

Forse l’Italia non ha dato ai suoi soldati indigeni quanto loro hanno dato all’Italia.

dell’inverno. E sarà l’inizio della fine!

COLLEGATE: 

Giuseppe Vollono

(prima edizione Ottobre 2004) – novembre 2016

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