La strage di Manchester ideata in Libia. Arrestati a Tripoli ilpadre e il fratello

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La pista della strage jihadista di Manchester porta in Libia. Più polizie sono impegnate a ricostruire la rete che ha consentito di colpire al kamikaze Salman Abedi. A Tripoli sono stati arrestati il padre e il fratello che ha affermato: «Io e Salman abbiamo aderito all’Isis».

La rete del terrore di Salman, a Tripoli la regia dell’attentato

Blitz e sei arresti a Manchester. Il fratello Hashem e il padre Ramadan fermati in Libia. L’imam della moschea: «Mi guardò con odio quando feci un sermone contro il Califfo»

MANCHESTER – Sì, il male sa camuffarsi bene. La moschea di Didsbury è una ex chiesa, oggi sconsacrata. Quartiere elegante. Villette a schiera e giardini curati. Salman Abedi, il kamikaze dell’ultima strage di innocenti, abitava a nemmeno tre chilometri da qui. E in questo centro culturale islamico veniva a pregare. Così facevano il padre, Ramadan, e il fratello minore Hashem. Tutti e due fermati ieri a Tripoli. «Hashem sapeva tutto del piano assassino del fratello», informa la Rada, la milizia di sicurezza libica. Non solo sapeva, ma stava preparando un attacco simile a quello di Manchester. Proprio nella capitale libica, a Tripoli. Dove di recente, pochi giorni prima di colpire l’Arena, è stato anche Salman. La rete c’è. Ed è più grande di quel che si pensava. I gangli dalla Gran Bretagna portano alla Libia, ma si ramificano anche in Siria. Una rete temibile. Tanto da spingere il governo di Londra e Theresa May a portare l’allerta nel Paese al livello «critico», il più alto da dieci anni a oggi.

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La caccia continua  

Ian Hopkins, il capo della polizia metropolitana di Manchester, l’aveva capito. «C’è un network su cui stiamo investigando». E non è legato a una sola famiglia. A testimoniarlo sono gli arresti e i numerosi blitz che si stanno susseguendo in queste ore. Sei, per ora, le persone fermate, tra queste una donna. Tutte collegate in qualche modo alla bomba che ha ucciso 22 persone e ne ha ferite 64 subito dopo la fine del concerto di Ariana Grande. Un fermo anche a Wigan, contea del Lancashire, 40 chilometri dal luogo della strage. Ma la caccia grossa continua tra Tripoli e Manchester. Dopo il fratello maggiore Ismail, in carcere da lunedì, si cerca l’artificiere: chi ha confezionato l’ordigno riempiendolo di chiodi e bulloni, per fare più male. E si continua a setacciare tutta la città, anche la zona della moschea di Didsbury.

La predica anti-Isis

Uno dei direttori del centro culturale, gestito da libici, prende le distanze: «Non ha mai lavorato per noi». Mentre l’imam, Mohammed Saeed, ricorda un episodio su Salman: «Era il 2015 quando feci un sermone criticando le milizie dell’Isis in Libia. E lui, con un gruppetto di amici, se la prese. Mi guardò con odio e disprezzo». Le altre persone, per di più libici e siriani, che frequentavano la moschea erano d’accordo con l’imam, Salman e i suoi amici no. «Un mio conoscente – continua l’imam – mi disse di fare attenzione perché poteva farmi del male. Ma da allora non era mai successo più nulla». Fino a lunedì notte quando, di ritorno dalla Libia, ha deciso di farsi saltare in aria. Salman era tante cose: figlio di profughi libici scappati dalla Cirenaica ai tempi di Gheddafi, amante del cricket e del calcio, per un periodo studente di economia. Tante cose. Ma non un lupo solitario.

Il reclutatore  

Per capirlo bisogna spostarsi dalla moschea e percorrere una manciata di chilometri a nord, verso il centro. Bussare al civico 139 di Princess Road e chiedere dell’ex campione di pugilato britannico Maurice Core. Oggi, a 52 anni, manda avanti una palestra dove insegna ai giovani a stare sul ring. «Cosa volete da me?», dice sull’uscio della porta. «Ancora quella storia? Sì, Raphael Hostey si è allenato qui qualche anno fa per circa sei mesi». Maurice non lo sapeva, ma Raphael Hostey non era uno qualsiasi. A soli 24 anni era considerato uno dei più importanti reclutatori dello Stato islamico nel Regno Unito. È morto l’anno scorso in Siria, ucciso da un raid effettuato con un drone. Si faceva chiamare Abu Qaqa al-Britani e aveva creato una vasta rete di proseliti nella quale era finito anche Salman, l’attentatore dell’Arena. Anche perché i due hanno vissuto nello stesso quartiere di Manchester. «Quel ragazzo-kamikaze? No, lui non l’ho mai visto allenarsi qui e sono sconvolto per quanto è successo lunedì», dice l’ex pugile Core. E aggiunge sconsolato: «Se io mando avanti questa palestra è anche per integrare questi giovani, per fare del bene a questa comunità».

I radicalizzati e la Libia  

La rete di complicità, specie in Moss Side, così si chiama questa zona a sud di Manchester, sembra più vasta di quanto si crede. Da qui era partito a inizio anno un 50enne che si è fatto saltare in aria vicino a Mosul. E sempre da questi vicoli due studentesse del liceo femminile, Zahra e Salma, sono fuggite per combattere con l’Isis in Iraq. Un’indagine del Guardian, pubblicata già lo scorso febbraio, ha contato 16 terroristi (tra condannati e morti) nei quattro chilometri quadrati intorno a quest’area. Una rete radicale. Di cui anche Salman faceva parte. Come il fratello Hashem che voleva colpire Tripoli. E il padre Ramadan che avrebbe legami con il Libyan Islamic Fighting Group. Uno è morto kamikaze a Manchester. Gli altri due sono stati arrestati ieri in Libia. Ma non è finita. Tanti gangli di questa rete restano ancora da svelare.

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