La lunga marcia degli invisibili che non credono più ai leader ed ha detto NO!

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Nelle piazze non ci sono però folle a festeggiare, scrive Mattia Feltri: è una lunga marcia degli invisibili che non credono più ai leader.

Ecco l’Italia che ha detto No: gli invisibili che non credono più ai leader

È stato un voto anti-establishment, ha vinto la gente che non si fida più. Sarà difficile per qualunque leader trasformare la protesta in consenso

La vittoria c’è ma i vittoriosi dove sono? Li si è cercati per tutto il giorno a Roma, e per il semplice gusto della conferma: non li si sarebbe trovati. Non fino a notte, in nessuna piazza, non c’era una sede di comitato o di partito, non c’erano luoghi di fermento al Testaccio o alla Garbatella né tantomeno in centro, già festival di luminarie ed esultanze per il derby che uscivano dalle birrerie.

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E invece – e non è nemmeno un paradosso – di sconfitti se ne trovavano, qua e là, dentro le loro trincee novecentesche, le stanze del Partito democratico al Nazareno, quelle del Comitato per il Sì a piazza Santi Apostoli, dove erano stati costruiti il successo e la breve vita dell’Unione di Romano Prodi; posti di attesa classica, dove a sera sarebbero arrivati i leader per i commenti all’impiedi a beneficio di questa o quella emittente televisiva, e il distacco è lì che appare in tutta evidenza. È una rivoluzione – piccola o grande lo dirà il tempo – senza manifestazioni oceaniche, senza popolo dietro a capopopolo, senza casematte attorno a cui radunarsi: e quanto aveva ragione Beppe Grillo quando anni fa, all’inizio dell’avventura a cinque stelle, lo chiamavano a casa cercando il segretario del Movimento e lui gli passava il figlioletto Ciro. È la sostanza stessa che non è richiesta: ieri Roma e il resto d’Italia sono state percorse e scosse dal complotto delle matite, sequel del complotto delle lavatrici denunciato dal sindaco Virginia Raggi, e di tanti altri complotti delle banche, delle lobby, della finanza, della Nasa, di grandi mostri calati sulle nostre teste ad avvelenare i pozzi.

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Le notizie infatti ci spingevano verso Castelnuovo di Porto, dove si tiene lo spoglio dei voti degli italiani all’estero, e dove quelli del Comitato per il No erano rimasti fuori, intanto che all’interno – spiegavano – si stavano consumando irregolarità fino al broglio; e poi alla scuola Garrone di Ostia, dove un insegnante denunciava, centesimo o millesimo di giornata, la truffa delle matite copiative, i cui segni su un foglio bianco venivano via con una gomma. E non c’era verso di spiegare che le matite copiative funzionano indelebilmente soltanto sulla carta delle schede elettorali. Erano piccoli epicentri della grande rivolta dove, quando li si raggiungeva, non c’era più niente perché intanto si erano spostati in un altro seggio, o in un altra città. E l’imprevedibile ed effimero leader di giornata è diventato Piero Pelù, il cantante dei Litfiba che ai tempi d’oro cantava «dittatura e religione / fanno l’orgia sul balcone». Perfetto inno per i sentimenti di oggi: il post su Facebook di Piero Pelù sulla frode di Stato ha avuto 62 mila like, 10 mila commenti, più di 100 mila condivisioni, e quella è stata l’unica vera grande manifestazione fisica del popolo degli infuriati, diretto ai seggi armato di gomma e foglietto bianco per verificare che anche il loro voto fosse falsificabile dalla planetaria associazione per delinquere.

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Inutile farci sopra dell’ironia. Ha vinto la gente, il mare di gente che non si fida più, molto ben disposta verso l’inverosimile e diffidente verso il verosimile, per intima ed esasperante convinzione che là fuori c’è qualcuno che lavora alla sua infelicità, perché manca il lavoro, perché si indeboliscono le garanzie, per invidia sociale, perché l’investimento in banca è andato storto, perché ci sono i poteri forti, perché c’è l’Europa, perché c’è una classe dirigente che in quanto tale campa sulla pelle delle periferie, fisiche o esistenziali. Ognuno è partecipe di quella massa per una ragione diversa, e col minimo comune denominatore del rifiuto feroce dell’establishment farabutto, una condizione che non riguarda soltanto l’Italia, come raccontano di recente la Brexit e Donald Trump.

MAPPA ELETTORALE Tutti i risultati provincia per provincia

 

Gli ultimi messaggi dell’unico vero tempio della rivolta – Internet – spiegavano le ragioni del No, e cioè per «mandare a casa il c… Renzi», perché se Napolitano vota Sì io voto No», perché «voglio un lavoro dopo anni di studio», perché «mio marito è precario», perché «le banche ricominceranno a essere dalla parte della gente», perché la dittatura e il fascismo eccetera. E tutto questo non ha bisogno di comitati e sale da trasformare in sale da ballo, non di leader perché è difficile immaginare che alla sommità della montagna siedano Massimo D’Alema o Pierluigi Bersani, o pure i più giovani e puri, come Matteo Salvini o Giorgia Meloni. Sarà probabilmente la vittoria di Beppe Grillo, il non capo del non partito che non ha sedi e nemmeno una struttura certa. E non c’è niente di più lontano dal senso di questa ribellione del raduno del Comitato per il No romano a San Lorenzo, il comitato dell’Anpi, di Gustavo Zagrebelsky, di Stefano Rodotà, della Cgil, del residuo più cospicuo e pensoso del Novecento, dove alle 23 di ieri sera si vedeva, finalmente, la prima parvenza di raduno in attesa che si ufficializzassero le indiscrezioni di trionfo del pomeriggio. C’erano Giovanni Russo Spena e Alfonso Gianni, volti che ai cornisti parlamentari raccontano di antiche stagioni dell’altro millennio. Ecco, la storia di oggi sembra avere molto più a che fare con il sito del Consiglio regionale della Toscana, colpito ieri mattina dagli hacker di Anonymous: sulla home page è comparso un manifesto con la scritta Sì, e sullo sfondo Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e Denis Verdini, e con la scritta No, e sullo sfondo un’immagine di partigiani della guerra civile. Il volto della vittoria di oggi non è altro che il volto anonimo e digrignante di un uomo senza capi.

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