I giudici di Torino: “Gli alunni possono portare a scuola il pasto preparato a casa”

TORINO – I genitori devono poter scegliere se usufruire della mensa o meno A Milano...

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TORINO – I genitori devono poter scegliere se usufruire della mensa o meno
Mensa scolastica, bimba che mangiaA Milano è la «schiscetta», a Torino il «baracchino», in gergo militare la «gavetta». Il pasto pronto che ci si porta da casa ora, nelle scuole, è un diritto riconosciuto dalla Corte di Appello di Torino. I giudici hanno stabilito che i genitori devono poter scegliere tra la mensa scolastica e il pranzo al sacco per i figli.

Definita la «battaglia del panino», la questione nasce nel 2013 dal ricorso di centinaia di mamme e papà di una scuola primaria torinese, dopo l’aumento delle tariffe della refezione, calcolate per fasce in base ai parametri Isee. Si erano prima rivolti al Tar, che aveva respinto il ricorso, affermando che il Comune aveva diritto di modulare le tariffe; ma aveva passato la palla al tribunale per l’altra domanda: è o meno un diritto portarsi il pasto da casa? La Città negava questa possibilità: chi non vuole la mensa, deve andare a prendere i figli a scuola e riportarli dopo pranzo. In primo grado il tribunale aveva opposto un no che è stato ora ribaltato dalla Corte d’Appello, secondo la quale il tempo trascorso in mensa fa pienamente parte dell’offerta didattica.

Non una pausa, ma un momento educativo. Ed è quindi un diritto restare a scuola anche se non si mangia in mensa. «Non si può essere costretti a usufruire di un servizio che per legge è facoltativo – spiega l’avvocato Giorgio Vecchione, che assiste le famiglie in causa – questo dicono i giudici. Sottolineano come restare a scuola durante la mensa rientri a tutti gli effetti nell’esercizio del diritto all’istruzione». I giudici si basano su una circolare del 2004 del ministero che prende atto di come la scuola sia cambiata e di come quello che viene definito «tempo scuola» non comprenda solo attività strettamente didattiche, ma anche un momento di socializzazione come il pranzo. Questo apre i problemi maggiori:se è un momento didattico, allora con i bambini ci devono essere gli insegnanti e non solo dei sorveglianti come spesso avviene. La conseguenza è l’aumento del monte ore dei docenti che potrebbe rendere necessario per il Miur assumere nuovo personale, sempre che non ci sia un ricorso in Cassazione del Ministero o del Comune di Torino. Per i dirigenti scolastici il problema sarà organizzare il servizio in base a spazi e a norme igienico-sanitarie.

Sul tema dei diritti la discussione è più ampia: è giusto o no che i bimbi consumino pasti differenti? Che qualcuno mangi un panino accanto a un compagno che riceve un pasto completo? Chi è contro l’iniziativa legale dice che le fasce deboli sono già tutelate. I genitori obiettano che le differenze già esistono nei menu (allergie, intolleranze, motivi religiosi). E ribadendo il diritto di scegliere.

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